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  • La Voce Del Crespi

Non sono felice se non lo mostro ai miei followers?

Ore 23:30, sono in camera mia e guardo disperata il libro di storia dell’arte…mi mancano ancora quattro artisti da studiare e 70 pagine per la verifica di domani. “Io volevo dormire stanotte” penso, “sì, volevo dormire, ma questo pomeriggio ho passato dalle due alle cinque a far niente… scorrendo la home di Instagram e messaggiando su Whatsapp” rifletto.


La mattina dopo ho iniziato a osservare: in treno mi sono guardata in giro, al posto di guardare il telefono. Una ragazza, nel posto di fronte al mio, aveva gli occhi fissi sullo schermo del telefono. Il ragazzo di fianco a me, anche. I ragazzi nell’altra fila erano tutti intenti a guardare il proprio smartphone. Mi sono impressionata.


Scorrendo i post di Instagram, quel pomeriggio, ho notato che in qualsiasi post delle persone che seguivo tutti si mostravano entusiasti, felici, ma è veramente quella la loro realtà quotidiana? Mi è sembrato che l’obiettivo della vita fosse mostrare agli altri che si ha una vita perfetta. Mi è venuta in mente una festa a cui ero stata recentemente, a tutti gli invitati che al posto di cantare “tanti auguri” registravano il momento da pubblicare nelle storie. Basta semplicemente pensare a quando incontriamo una persona nuova e dopo aver scambiato due parole, la domanda è sempre quella: “Come ti chiami su Instagram?”


Ma la vita, è solo su social? Non sono felice se non lo mostro ai miei followers? Queste domande mi sono balenate in mente, ma non ho fatto altro che osservare la mia quotidianità: più il tempo passava, più mi sembrava di essere “schiava”.


Finché non è arrivata la sfida, proposta per l’Erasmus in Romania a cui parteciperanno i miei compagni di classe, il cui tema è appunto la “Social Media Addiction”: è stato pensato un esperimento e chi si fosse proposto, avrebbe passato una settimana senza social media, incluso Whatsapp. La sfida era stata particolarmente lanciata a me perché sono soprannominata, nonostante io non sia più dipendente dai social rispetto alla maggior parte dei ragazzi della mia età, “technology addicted”. Io l’ho accettata senza pensarci due volte, mi sono messa alla prova e l’ho presa molto seriamente, anche se alla fine sono stata l’unica a partecipare.


La settimana non si è rivelata nulla di particolarmente eclatante, lo dico perché mi sono accorta di quanto io desideri che ciò che ho vissuto in quei sette giorni sia la normalità. Instagram, Facebook, non mi sono mancati per nulla: molte volte mi annoiavo, mentre aspettavo il treno, o dopo aver finito i compiti e in molti momenti mi sono sentita sola quasi come se non avessi più una vita sociale. Mi sono messa a leggere un libro, che ho finito in tre giorni, addirittura leggendo “lentamente”. Una cosa del genere, di mia spontanea volontà, non la facevo dalla prima media. E’ stato, invece, difficilissimo stare senza Whatsapp: per motivi scolastici innanzitutto, perché non potevo leggere il gruppo della classe, di conseguenza chiedere informazioni era più complicato, perché i messaggi normali vengono usati veramente pochissimo. E non ho potuto neanche comunicare con alcuni amici che solitamente sento ogni giorno e non vivono vicini, i quali però non hanno i messaggi nel loro piano telefonico o non vivono in Italia.


Finiti i sette giorni, la prima cosa che ho fatto la mattina è stata reinstallare Whatsapp, per necessità; devo dire che non vedevo l’ora. Nonostante io non abbia reinstallato Instagram, i giorni successivi la concentrazione che avevo avuto nello studio la settimana precedente, ad esempio, era molto diminuita, anche solo con Whatsapp e questo mi è dispiaciuto: tuttavia la “no social media week” mi ha insegnato che oltre a Instagram esiste anche altro e che, se non controlli ogni 5 minuti le notifiche, vivi lo stesso. Oltre a messaggiare e a postare, puoi uscire, fare una passeggiata, leggere, chiacchierare, goderti ogni attimo senza lo “stress” di dover sempre dimostrare qualcosa ai tuoi followers o contatti, ma vivendo la tua intimità. Per questo consiglio a tutti di fare questa prova, anche solo di pochi giorni.


E la mia non è la solita critica da 70enne all’antica che dice: ”Questa è una gioventù bruciata che sta tutto il giorno attaccata al telefonino” bensì la riflessione di una ragazza che ha alzato gli occhi dallo schermo e si è sentita intrappolata in quella che è una dipendenza quotidiana promossa dalla società e che sta lentamente sostituendo i veri valori nella nostra vita e che ci distrae da tutto ciò che nel nostro mondo c’è per noi al di fuori dei social.


Valeria Bertino

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